" Personalmente non sono dell'idea di invitare alla festa della Lega chi continua ad attaccarci. non dimentichiamo che proprio il ministro per prima si è rifiutata di stringere la mano di un consigliere comunale del Carroccio". L'affermazione di Fabio Rainieri, esponente della Lega in Emilia, non lascia all'interpretazione alcun alibi garantista. Cecile Kyenge è l'unico vero obiettivo a breve termine per una Lega dal fiato corto. Fuori dai principali canali dell' informazione, il Carroccio annaspa nell'oblio aspettando Godot, che per una fortunata serie di circostanze pare sia arrivato tutto sommato puntuale. E se la faccia dell'occasione ha il colore del diverso, a un salvifico benvenuto si antepone il più consolidato far(l)e la festa.
Il contagio dell'intolleranza, come qualsiasi altra pandemia sociale, nasce dal basso e cresce esponenzialmente laddove l'igiene culturale non viene adeguatamente rispettata. Luca Zaia, che solo recentemente sembra avere indovinato la giusta via al confronto, a fine aprile commentava così lo stupro di un'Austriaca per mano di due ghanesi: «Il nuovo Ministro dell'Integrazione Kyenge venga a Vicenza a rendere visita alla vittima, con il coraggio di affrontare i problemi per quello che sono e per ribadire a tutti che non ci può essere integrazione senza legalità». Zaia ha poi parzialmente rettificato la battuta a caldo elencando le virtù della tolleranza regionale esplicitata anche attraverso i numeri dell'immigrazione legale nel Veneto, Ma ciò che conta solitamente viene prima di qualsiasi altra opinione e neppure Zaia è riuscito a sottrarsi dalla pericolosa deriva xenofoba.
Luca Zaia rappresenta la punta colta e accorta di un movimento che difficilmente è mai riuscito a emergere dal pantano dell'epiteto greve. Prima di lui, altri noti rappresentanti hanno falcidiato ogni residuale tentativo di confronto col ministro dell'integrazione utilizzando parole e tesi che rimandano ai momenti più cupi del fascismo, quando la caccia al diverso era normata da un decreto regio. Il tre maggio, ai microfoni di radio24, l'ex parlamentare della Lega Erminio Boso ha colto l'occasione per dare un segnale forte ai simpatizzanti della xenfobia: “Sono razzista, non l’ho mai negato. Il ministro Kyenge deve stare a casa sua, in Congo“. La sfida è stata colta successivamente da Mario Borghezio, ospite in studio della trasmissione radio "un giorno da pecora", Borghezio, in verità sottotono rispetto agli standard, ha affermato che Cecile Kyenge gli "sembra una scelta del cazzo, un elogio dell’incompetenza“,aggiungendo un suggerimento fortunatamente rispedito al mittente: “Al posto della Kyenge avrei proposto Giancarlo Gentilini, un democratico con grande esperienza nell’integrazione“. A completezza dell'informazione, va sottolineato che Giancarlo Gentilini è stato l'indiscusso protagonista della pluridecennale stagione della caccia al leprotto in provincia di Treviso, quando era di moda calzare ai clandestini il caratteristico copricapo dalle lunghe e inconfondibili orecchie.
Nel frattempo, altri esponenti minori della Lega Nord, probabilmente in cerca di notorietà, hanno dato in pasto alla rete il loro discutibile pensiero: La padovana Dolores Valandro, corroborata dall'esempio dei più noti volti del leghismo storico, si è lasciata andare a pensieri leggermente stonati rispetto al buon senso comune. "Ma mai nessuno che se la stupri, così tanto per capire cosa può provare la vittima di questo efferato reato? Vergogna". A prescindere dal contesto, perchè nessun contesto può giustificare queste parole, va detto che la signora in questione ha tentato di correggere la mira spiegando che «Non sono un tipo violento. Anzi, questo è un mio modo di sfogarmi ma sotto sotto io sono ancora più dolce e più buona del pane. Perché anche se uno mi viene a pestare in testa, mando giù. E se uno mi mena io me le prendo, perché sono una che abbaia ma non morde».Ecco, la mano che lancia il sasso e poi si nasconde non è mai così veloce quanto il senso del ridicolo che lascia sul posto prima di fuggire.
Cecile Kyenge è una casalinga eversiva, provoca l'orgoglio padano ma non si espone alla reazione. Cecile Kyenge non accetta di sottostare alla consolidata legge del taglione. Eppure i capi di imputazione sono alquanto chiari: lo IUS SOLI e la scortesia istituzionale sono noti all‘intero Paese. Sul primo capo pesa la lesa maestà di un dogma della Lega. Il motto "Padroni a casa nostra" è stato vilipeso da una negra che ha manifestato l'intenzione di dare una collocazione definitiva a una generazione di apolidi, scongelando le intenzioni che all'inizio del ventunesimo secolo una parte di Parlamento aveva trasformato in disegni di legge poi congelati in fase embrionale. E poco importa se lo IUS SOLI perseguito non è PURO ma TEMPERATO, è il latino a essere indigesto, come da tradizione scolastica. IL secondo capo di accusa è tuttavia più grave. L'imputata si è rifiutata di stringere la mano a un consigliere leghista, come ha ricordato con solerte puntiglio il segretario emiliano Rainieri. Il gesto in sè ha eccitato la fantasia dei Leghisti, identificando un episodio affatto chiaro quale casus belli del confronto tra Cecile e una sparuta percentuale di italiani. Non è infatti servito a niente specificare che gli atti di intolleranza contro la Kyenge si sono manifestati a partire dal giorno dopo l'insediamento del governo Letta. Tutto pare abbia inizio da quella mancata stretta di mano. Almeno nell'universo cosmogonico padano. Praticamente un mito.
Ma nulla riassume l'atteggiamento di rifiuto meglio delle parole di Roberto Calderoli: «Quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare alle sembianze di un orango». E che nessuno pensi che l'affermazione sia il frutto conclamato di un colpo di calore. Pesa infatti la lunga esperienza del signore in fatto di battute infelici. Praticamente un imbe(ci)lle recidivo. Calderoli ha insomma innescato un'evoluzione della lotta alla negrizzazione del Parlamento, aggiustando il grido di guerra più famoso della galassia cinematografica: Al mio segnale scatenate l'inferno. Da allora il consumo delle banane da tiro è decuplicato tra gli estremisti dello Stivale, culminando nel vile attentato all'integrità fisica del ministro in una afosa serata estiva a Cervia.
Putroppo il solleone non frena lo spirito dell’intolleranza. Ne eccita invece i propositi, moltiplicando le occasioni per manifestarsi in tutta la sua virulenza. Roberto Castelli, ex ministro leghista, ha voluto sintetizzare con il gusto che gli è proprio l’intera vicenda attraverso l’uso maldestro di una pratica assai comune nella politica italiana, il cerchiobottismo. "Gli insulti sono sempre un errore, ma la Kyenge per me dal punto di vista politico è una totale nullità (…). Ricordo che tra l’altro la prima razzista è lei, perché si rifiutò di stringere la mano a un nostro consigliere di Milano. Siamo riusciti a trasformare una che ha fatto un vero atto razzista in una vittima".
Ora, a parte l’evidente anacronismo circa la primogenitura degli attacchi, sembra che Castelli non abbia ancora compreso la definizione di quel concetto che a più riprese la Lega ha esplicitato attraverso le parole e le opere che ne hanno caratterizzato la politica. Vale allora la pena di confortare il comune lettore citando il Treccani, la cui autorevolezza non pare questione di confronto lessicale: Razzismo Concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze. È alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la 'purezza' e il predominio della 'razza superiore'.
Dalla spremitura di cinque mesi di lotta quotidiana ne esce un concentrato di amara constatazione. Ci si domanda retoricamente chi sia più bianco dell’uomo nero, se la vittima sacrificale ha lo stesso colore dell’ebano e il carnefice il pallore del sole d’autunno . Intanto Bobo tace, avvallando per tradizione ogni becero contributo che la gerarchia padana ha finora portato al confronto sulle idee. Praticamente nulla di nuovo sotto il sole, eccetto il solito tormentone.