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venerdì 30 giugno 2017

VENETO BANCA e POPOLARE DI VICENZA per capire meglio.

Un contributo da parte del sindacato CGIL per capire la storia delle due banche del "territorio"
Popolare di Vicenza – Veneto Banca: Un secolo e mezzo di Storia
Popolare di Vicenza

Nasce nel 1866 come prima banca vicentina e prima banca popolare nel Veneto. Per più di un secolo rimane radicata esclusivamente nel territorio cittadino.
A partire dagli anni 80 del '900 inizia un'importante politica di sviluppo dell'istituto, prima con l'acquisizione di alcune banche locali vicentine (Banca Popolare Agricola di Lonigo nel 1985, Popolare di Thiene nel 1988, Popolare dei Sette Comuni-Asiago nel 1991) poi con l'apertura di filiali nel Nord Ovest e nel Nord Est, assorbendo altre banche (Banca Popolare di Venezia nel 1994, Popolare di Castelfranco Veneto e Popolare di Trieste nel 1996, Popolare della Provincia di Belluno nel 1997, Popolare Piva di Valdobbiadene e Popolare Udinese nel 1998), dando vita al Gruppo Banca Popolare di Vicenza.
Nel 1998 la Banca Popolare di Vicenza entra a far parte, insieme al Banco Bilbao Vizcaya Argentaria e all'INA, del nucleo degli azionisti di riferimento di Banca Nazionale del Lavoro (BNL).
IL Gruppo Popolare di Vicenza conta oggi 482 filiali (più 93 della controllata Banca Nuova) e quasi 5.000 dipendenti.
Veneto Banca
Il nucleo storico dell'odierna Veneto Banca è rappresentato dalla Banca Popolare di Montebelluna, fondata nel 1877 ed il cui primo consiglio di amministrazione era così formato: Antonio Serena (Presidente), filandiere e futuro sindaco di Cornuda, Giovanni Ferrari e Giovanni Peratoner, farmacisti, Antonio Bolzon e Giobatta dell’Armi, ingegneri, Giovanni Polin, possidente, Gaetano Legrenzi, dottore, Giobatta Marcato, commerciante, Giovanni Nardello, investitore.
Nel 1966, dalla fusione con la Banca Popolare del Mandamento di Asolo, nasce la Banca Popolare di Asolo e Montebelluna.
Veneto Banca
A seguito dell'acquisizione della Banca d
i Credito Cooperativo del Piave e del Livenza nel 2000, la Banca assume la denominazione di Veneto Banca.
Inizia per Veneto Banca una fase di intenso sviluppo, caratterizzata da una serie di acquisizioni: la Banca Italo Romena nel settembre del 2000 e la Banca di Bergamo nell'aprile 2001.
La struttura è completata da una serie di società controllate ed operanti nei vari settori contigui all'attività bancaria: Claris Factor (1990), Claris Assicurazioni (1998), Veneto Ireland Financial Services (1999), Claris Broker (2000) e Claris Leasing (2001).
Nel dicembre 2002 Veneto Banca crea Banca Meridiana, con l'acquisto di alcuni sportelli dell'ex Banca Mediterranea presenti in Puglia e Basilicata.
A febbraio 2005 viene acquistata Banca del Garda
Nel 2007 avviene l'acquisizione della Banca Popolare di Intra e delle sue controllate Banca Popolare di Monza e Brianza ed Intra Private Bank.
Veneto Banca oltrepassa la soglia dei 300 sportelli.
A inizio 2008 la Banca si riorganizza: la capogruppo Veneto Banca Scpa diviene Veneto Banca Holding.
Il Gruppo Veneto Banca al 31 dicembre 2016 può contare su una rete di 480 filiali, un organico di 5.944 dipendenti ed un azionariato costituito da circa 75.000 soci
DA LUNEDI 26 GIUGNO LE BANCHE SONO IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA
La liquidazione coatta amministrativa è una procedura concorsuale “alternativa” al fallimento, regolata dalla legge fallimentare e da normative speciali, rivolte prevalentemente alle imprese di grandi dimensioni o operanti in particolari settori del mercato.
PERCHE’ SIAMO ARRIVATI A QUESTO PUNTO
Si comincia con la folle corsa dei volumi dei prestiti concessi dalle due banche, senza prudenza, con mille favori agli imprenditori amici, con prezzi inferiori ai concorrenti. Tra il 2008 e il 2012 gli impieghi di Veneto Banca sono saliti del 64%, per Popolare di Vicenza del 35%.
Era anche facile fare questi numeri, perché nel frattempo le altre banche si andavano ritirando. Questa crescita tumultuosa degli impieghi viene accompagnata da una politica di accantonamento dei prestiti imprudente, con accantonamenti inferiori a quelli degli delle altre banche.
I numeri erano sotto gli occhi di tutti: delle autorità di vigilanza, ma anche delle associazioni imprenditoriali, che si guardano bene dal denunciarle.
Quando la crisi economica moltiplica i fallimenti delle imprese, il buco viene fuori e ci si accorge che le sofferenze sono troppe, alla banca viene concesso di raccogliere i fondi presso la clientela fuori da qualsiasi regola.
È la tecnica che poi sarà nota come “prestiti baciati”: finanziamenti dati in cambio di sottoscrizione di azioni.
È storia nota. Poi il buco si allarga e , sempre sotto gli occhi dell’intera comunità finanziaria, a entrambe le banche viene concesso di emettere nuove obbligazioni subordinate presso l’inconsapevole clientela ordinaria (a quel punto gli investitori avevano già capito e preso le distanze dai rischi).
È l’apice della vendita di prodotti complessi e rischiosi a chi aveva profili Mifid (propensione al rischio) palesemente inadeguati.
Nel frattempo i valori delle azioni erano divenuti elevatissimi, ben oltre quelli delle banche quotate: Zonin nelle assemblee faceva di questo grande vanto.
Gli azionisti avrebbero presto scoperto che, non essendo le due banche quotate in Borsa, liberarsi di quei titoli sarebbe stato quasi impossibile, se non per qualche privilegiato.
Tutte questioni oggetto di inchieste penali e dell’azione di responsabilità ai danni degli ex vertici delle banche, a partire dai loro dominus per quasi 20 anni: Vincenzo Consoli di Veneto Banca e Gianni Zonin di Vicenza, quest’ultimo ufficialmente quasi nullatenente dopo essersi liberato delle proprietà a favore di figli e parenti.
TRASFOMAZIONE IN SPA: UN FALLIMENTO
Si arriva dunque alla trasformazione delle due popolari in Spa (grazie a una riforma di cui va dato il merito al governo), mossa che dovrebbe portare a un aumento di capitale propedeutico alla quotazione in Borsa
È un fallimento, cosa che ex post risulterà un bene perché ha evitato che altri sottoscrittori ci lasciassero le penne.
Gli istituti che si erano posti a capo dei consorzi di garanzia per l’aumento di capitale, Unicredit per Popolare di Vicenza e Intesa per Veneto Banca, si sfilano. È a quel punto che viene loro in soccorso il fondo Atlante, soluzione di sistema privata ma con regia pubblica e presenza della Cdp, creata appunto in quel frangente. Atlante sottoscrive le azioni a 10 centesimi, tutti gli altri azionisti sono azzerati.
Le risorse di Atlante - 2,5 miliardi per i due istituti all’inizio, a cui aggiungerà quasi un miliardo nell’ottobre 2016 - non sono sufficienti per mettere le banche in sicurezza.
Emergono nuovi crediti deteriorati, l’attività di intermediazione crolla del 35% (da 1 miliardo a 650 milioni) in un anno. Un anno dopo Atlante ha bruciato i capitali investiti.
Altra mossa rivelatasi inutile è la fusione tra le due banche, perché i due istituti hanno problemi simili.
IL RUOLO DI BANCA INTESA
Intesa Sanpaolo paga 1 euro per rilevare gli asset "buoni" di Bpvi e Veneto Banca. L'acquisto riguarda un perimetro segregato che esclude i crediti deteriorati (sofferenze, inadempienze probabili e esposizioni scadute), le obbligazioni subordinate emesse, nonché partecipazioni e altri rapporti giuridici considerati non funzionali all'acquisizione.
Peraltro, a titolo di ristoro per i piccoli risparmiatori detentori di obbligazioni subordinate emesse dalle due banche, Intesa Sanpaolo stanzierà complessivamente 60 milioni di euro, che includono un importo come proprio intervento in aggiunta alla quota parte prevista del contributo del sistema bancario.
COSA PREVEDE IL PIANO DI SALVATAGGIO - CONSEGUENZE PER I LAVORATORI
Come conseguenza dell'operazione, è previsto l'apporto di fondi statali per 1,285 miliardi di euro, "a copertura degli oneri di integrazione e razionalizzazione connessi all'acquisizione, che riguardano tra gli altri la chiusura di circa 600 filiali e l'applicazione del fondo di solidarietà in relazione all'uscita, su base volontaria, di circa 3.900 persone del gruppo risultante dall'acquisizione, nonché altre misure a salvaguardia dei posti di lavoro, quali il ricorso alla mobilità territoriale e iniziative di formazione per la riqualificazione delle persone".
"Uno dei punti essenziali che mi hanno portato a sedere al tavolo è nessun licenziamento. Ci saranno solo uscite volontarie". Lo ha detto l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, in una intervista al Tg3. "Credo che questa operazione concorra a ridurre il rischio sistemico in maniera significativa - ha aggiunto -. Credo che anche Mps sia vicino ad una soluzione e quindi il sistema bancario (italiano, ndr) è assolutamente paragonabile a quello degli altri Paesi Europei".
IL RUOLO DELLO STATO
Il costo esatto di questa operazione per i contribuenti sarà chiaro probabilmente solo tra molto tempo.
Per il momento lo Stato ha dato 4,7 miliardi di euro a Intesa San Paolo, che serviranno sostanzialmente a mantenere inalterati i suoi indici patrimoniali dopo essersi presa le attività della parte buona delle due banche (alcuni notano che si tratta di un grosso favore a Intesa, già oggi una delle banche più solide d’Italia ed Europa).
Altri 12 miliardi di euro per il momento sono garanzie di vario genere emesse sempre dallo Stato: non è detto che saranno spesi. Per capire quanto costerà effettivamente l’operazione, bisognerà vedere a quanto lo Stato riuscirà a vendere gli asset delle “bad bank” e quanto bene andrà l’integrazione tra Intesa e ciò che resta delle due banche venete.